Breve. E' questa la prima impressione che si ha vedendo scorrere i titoli di coda di quello che avrebbe dovuto essere Rambo IV.
John (sembra che stia diventando il classico nome da anti-eroe, non credete?) dopo gli avvenimenti di Rambo III non è più tornato a casa (ne aveva una?) ma vive barcamenandosi (nel senso letterale del termine) in una zona fluviale al confine tra Tailandia e la Birmania. Ma se ormai lo stagionato veterano è tanto convinto che 'non si possano cambiare le cose' la determinazione di Sarah, una missionaria laica, decisa a far arrivare aiuto nella Birmania dove spadroneggia un durissimo regime militare, lo convincerà a concedere la sua barca per un passaggio a lei e agli altri missionari che la accompagnano.
Naturalmente la situazione finirà col precipitare e il buon vecchio Rambo sarà costretto ad intervenire e dispensare frecce e una gran profusione di pallottole (anche di grosso calibro) per tentare una disperata operazione di recupero.
Il film è indubbiamente molto crudo e adrenalinico tanto che lo spettatore ne viene esplicitamente avvertito anche da una schermata in apertura.
Se gli scontri e i morti non si contano per quantità e spettacolarità è invece ben evidente che il regista/attore/produttore ha voluto usare John Rambo per portare sullo schermo le efferatezze che stanno sconvolgendo la Birmania. In questo vi assicuro che il film è più che riuscito e ci si trova spesso a osservare scene di una brutalità che fa davvero dubitare che possano essere chiamati uomini quelli che le compiono.
IN CONCLUSIONE
Questo quarto film si porta dietro tutte le tare e tutti i pregi dei film precedenti, anche se lascia con l'idea che sia mancato qualcosa dopo averlo visto.
Ho apprezzato Sylvester Stallone per aver deciso di inserire in questo titolo un chiaro tono divulgativo relativamente alla triste situazione della Birmania, ma ho trovato un Rambo divenuto ormai davvero troppo una macchina da guerra inarrestabile e invincibile. Un terminator averebbe avuto più problemi a fare quello che ha fatto lui. Comunque se avete visto gli altri tre, questo non potete perderlo, fosse anche solo per vedervi la scena conclusiva.
martedì 26 febbraio 2008
John Rambo
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venerdì 22 febbraio 2008
Il signore di Troia
Devo essere onesto: questo romanzo è stato una vera riscoperta. Per quanto io sia un profondo amatore del fantastico in genere l'epica classica non mi ha mai appassionato, forse anche per il formato troppo scolastico con cui ci veniva propinata o, anche se non vorrei formulare accuse ingiuste, per lo scarso amore del soggetto che parevano avere i miei stessi insegnanti.
Col primo romanzo di quella che promette di essere una trilogia davvero interessante David Gemmell getta le basi di una sua ricostruzione della guerra di troia e degli eventi ad essa antecedenti. L'autore non è nuovo ad opere del genere, come il Leone di Macedonia e il Principe Nero, ma basta leggere appena una cinquantina di pagine del Signore di Troia per capire che siamo davanti al miglior David Gemmell dei primi romanzi sui Drenai e a una narrazione che è un perfetto succedersi di eventi che paiono concatenarsi come gli ingranaggi di una macchina mossi dal caso o dai personaggi, altro punto di forza del romanzo. Dipinti con colori forti, credebili e reali quanto persone vive che amano, odiano, osano, infrangono le regole, bramano il potere. Andromaca, l'astuto Odisseo, Agamennone, Priamo, Ecuba, la piccola Cassandra nonché il prode Elicaone/Enea sono tutti personaggi del mito e di Gemmell insieme in questo romanzo. Questi due aspetti si fondono e il risultato come ho già accennato è davvero ottimo.
Non mi sento di dover aggiungere altro, e riterrei quasi offensivo cercare di riassumere in poche righe la trama di una tale opera che tra l'altro è di quasi cinquecento pagine.
Col primo romanzo di quella che promette di essere una trilogia davvero interessante David Gemmell getta le basi di una sua ricostruzione della guerra di troia e degli eventi ad essa antecedenti. L'autore non è nuovo ad opere del genere, come il Leone di Macedonia e il Principe Nero, ma basta leggere appena una cinquantina di pagine del Signore di Troia per capire che siamo davanti al miglior David Gemmell dei primi romanzi sui Drenai e a una narrazione che è un perfetto succedersi di eventi che paiono concatenarsi come gli ingranaggi di una macchina mossi dal caso o dai personaggi, altro punto di forza del romanzo. Dipinti con colori forti, credebili e reali quanto persone vive che amano, odiano, osano, infrangono le regole, bramano il potere. Andromaca, l'astuto Odisseo, Agamennone, Priamo, Ecuba, la piccola Cassandra nonché il prode Elicaone/Enea sono tutti personaggi del mito e di Gemmell insieme in questo romanzo. Questi due aspetti si fondono e il risultato come ho già accennato è davvero ottimo.
Non mi sento di dover aggiungere altro, e riterrei quasi offensivo cercare di riassumere in poche righe la trama di una tale opera che tra l'altro è di quasi cinquecento pagine.
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Valzer finale per un killer
Francis Ng è T, un sicario molto efficiente di Singapore, una specie di Mr Goodkat asiatico potremmo dire, che riceve i suoi incarichi tramite delle buste rosse imbucate in una apposita cassetta. Non è né un sanguinario né un uomo arido, e le sue amicizie e corrispondenze sono alquanto inusuali per un uomo nella sua posizione. Saranno proprio questi affetti che maturando in qualcosa di più profondo lo spingeranno ad infrangere le regole della sua professione innescando una spirale di omicidi e sangue.
Ho sempre ritenuto di essere una persona comprensiva, ho apprezzato numerosi film di Quentin Tarantino le cui trame e i fili logici dietro di esse erano piuttosto contorti o articolati. Valzer finale per un killer lascia però l'amaro in bocca: una trama scontata che appare però giù confusa mentre si assiste al succedersi degli eventi e diventa ancora peggio all'ultima scena.
IN CONCLUSIONE
Mi aspettavo ben di meglio da questo titolo. Gli scontri sono mediocri per un film del genere e il mio parere sulla trama (scontata) è già più che chiaro se avete letto quanto sopra. La presenza di Harvey Keitel, molto marcata nel titolo risulta essere più che altro uno specchietto per attirare pubblico viste le sue brevissime apparizioni nel film. Globalmente ne sconsiglio la visione.
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martedì 19 febbraio 2008
Transformers il film
Per chi come me era giovanissimo negli anni 80 del secolo scorso i Transformers erano un mito. Permettetemi quindi di spiegare chi sono i personaggi che danno il nome al film: sono macchine senzienti dotate della capacità di assumere diverse forme, una delle quali usualmente umanoide. Provengono da un lontano pianeta distrutto da una guerra terribile tra due fazioni, quella degli Autorobot e quella dei Distruptor.
(continua sotto il video del trailer italiano)
Come peculiare di ogni buona storia basata su un cartone animato/fumetto una fazione è buona che intende proteggere/aiutare/integrearsi con gli umani(quella degli Autorobot) e una cattiva (i Distruptor) che ha come unico obiettivo quello di perseguire i suoi scopi cercando fonti di energia e usarle per dominare il pianeta.
La trasposizione da cartone in film ha richiesto effetti speciali spettacolari e vedere i robot muoversi, trasformarsi in auto o aerei e combattere tra loro è già di per sé uno spettacolo che ne vale la visione.
E' un vero peccato che la trama non sia all'altezza di far fare al titolo il passo dal cartone al film, ma forse il mio giudizio è dettato dall'eccessiva nostalgia del mio periodo dei robottoni.
Credo però che converrete dopo averlo visto: la trama sembra molto vicina al solito cliché del protagonista Sam Witwicky studente-sfigato-squattrinato innamorato della bellissima Mikaela, ragazza del capitano della squadra di football della scuola che finisce col diventare proprietario di uno degli autorobot (o autobot come vengono chiamati nel film in base al nome originale americano) e che ahilui resta coinvolto nei loro scontri coi Distructor (che nel film hanno il nome originale di decepticon) perché casualmente è legato anche in modo ancestrale a tutta la faccenda. Non vi dico di più né come va a finire il tutto per non rovinarvi la diciamo sorpresa, ma vi lascio con un immagine di Megan Fox, che nel film è Mikaela e la domanda:
"Avendo una possibilità con una così sareste disposti a passare sopra al fatto che è una ragazza e si intende di macchine e motori?"
(continua sotto il video del trailer italiano)
Come peculiare di ogni buona storia basata su un cartone animato/fumetto una fazione è buona che intende proteggere/aiutare/integrearsi con gli umani(quella degli Autorobot) e una cattiva (i Distruptor) che ha come unico obiettivo quello di perseguire i suoi scopi cercando fonti di energia e usarle per dominare il pianeta.
La trasposizione da cartone in film ha richiesto effetti speciali spettacolari e vedere i robot muoversi, trasformarsi in auto o aerei e combattere tra loro è già di per sé uno spettacolo che ne vale la visione.
E' un vero peccato che la trama non sia all'altezza di far fare al titolo il passo dal cartone al film, ma forse il mio giudizio è dettato dall'eccessiva nostalgia del mio periodo dei robottoni.
Credo però che converrete dopo averlo visto: la trama sembra molto vicina al solito cliché del protagonista Sam Witwicky studente-sfigato-squattrinato innamorato della bellissima Mikaela, ragazza del capitano della squadra di football della scuola che finisce col diventare proprietario di uno degli autorobot (o autobot come vengono chiamati nel film in base al nome originale americano) e che ahilui resta coinvolto nei loro scontri coi Distructor (che nel film hanno il nome originale di decepticon) perché casualmente è legato anche in modo ancestrale a tutta la faccenda. Non vi dico di più né come va a finire il tutto per non rovinarvi la diciamo sorpresa, ma vi lascio con un immagine di Megan Fox, che nel film è Mikaela e la domanda:
"Avendo una possibilità con una così sareste disposti a passare sopra al fatto che è una ragazza e si intende di macchine e motori?"
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domenica 17 febbraio 2008
Die Hard 4 vivere o morire
John McClane è tornato. O meglio lui è sempre lì, un poliziotto incasinato ancora nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Articolandosi la serie di Die Hard ha proposto un crescendo di minacce: prima un grattacielo, poi un aeroporto, e in Die Hard 3 la città di New York. Ora i cyberterroristi puntano addirittura a mettere sotto attacco l'intero stato, approfittando della sua dipendenza informatica. Sarà compito del buon vecchio McClane, proteggere un hacker che ha partecipato ai preliminari di questo terribile disegno, tentare di sventarlo e, a tempo perso, cercare di restare vivo.
Bruce Willis è come sempre bravissimo nel ruolo di John e anche il giovane Justin Long che gli fa da spalla nei panni dell'hacker F4rr3ll non delude.
Scene incredibili, da far impallidire in tranquillità tutti i precedenti capitoli della serie, ritraggono un sequel di eventi che rendono il film davvero incalzante. Dal punto di vista degli scontri, anche se Thomas Gabriel (Timothy Olyphant di Hitman), il cattivo di turno, non è poi questo gran che affrontato direttamente, avversari come l'orientale Mai (interpretata dalla sempre agilissima Maggie Q di MI3) e l'uomo ragno Rand (Cyril Raffaelli che abbiamo già visto nei panni l'acrobatico agente di polizia in Banlieu 13) colmano il vuoto dando vita a una serie di combattimenti spettacolosi in cui spesso John è più che in difficoltà.
Degno di essere notato anche il salto della barricata di Cliff Curtis che dopo aver interpretato il terrorista El Lobo in Danni Collaterali qui è l'agente dell'FBI Bowman che cerca (con un successo davvero modesto dobbiamo ammetterlo, ma è classico della serie) di combattere i terroristi.
IN CONCLUSIONE
Die Hard 4 non solo non delude per essere il quarto film di una serie piuttosto di successo, ma anzi convince e, a differenza dei capitoli precedenti, ci dà da pensare mettendo in scena l'immagine di una minaccia futuribile e realizzabile. Meditate gente, e magari compratevi anche un gruppo elettrogeno ;-)
Articolandosi la serie di Die Hard ha proposto un crescendo di minacce: prima un grattacielo, poi un aeroporto, e in Die Hard 3 la città di New York. Ora i cyberterroristi puntano addirittura a mettere sotto attacco l'intero stato, approfittando della sua dipendenza informatica. Sarà compito del buon vecchio McClane, proteggere un hacker che ha partecipato ai preliminari di questo terribile disegno, tentare di sventarlo e, a tempo perso, cercare di restare vivo.
Bruce Willis è come sempre bravissimo nel ruolo di John e anche il giovane Justin Long che gli fa da spalla nei panni dell'hacker F4rr3ll non delude.
Scene incredibili, da far impallidire in tranquillità tutti i precedenti capitoli della serie, ritraggono un sequel di eventi che rendono il film davvero incalzante. Dal punto di vista degli scontri, anche se Thomas Gabriel (Timothy Olyphant di Hitman), il cattivo di turno, non è poi questo gran che affrontato direttamente, avversari come l'orientale Mai (interpretata dalla sempre agilissima Maggie Q di MI3) e l'uomo ragno Rand (Cyril Raffaelli che abbiamo già visto nei panni l'acrobatico agente di polizia in Banlieu 13) colmano il vuoto dando vita a una serie di combattimenti spettacolosi in cui spesso John è più che in difficoltà.
Degno di essere notato anche il salto della barricata di Cliff Curtis che dopo aver interpretato il terrorista El Lobo in Danni Collaterali qui è l'agente dell'FBI Bowman che cerca (con un successo davvero modesto dobbiamo ammetterlo, ma è classico della serie) di combattere i terroristi.
IN CONCLUSIONE
Die Hard 4 non solo non delude per essere il quarto film di una serie piuttosto di successo, ma anzi convince e, a differenza dei capitoli precedenti, ci dà da pensare mettendo in scena l'immagine di una minaccia futuribile e realizzabile. Meditate gente, e magari compratevi anche un gruppo elettrogeno ;-)
Inerente:
Bruce Willis,
cyberterroristi,
Cyril Raffaelli,
F4rr3ll,
hacker,
Maggie Q,
Timothy Olyphant,
War10ck
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